Siracusa. L'ultimo saluto a Renzo Formosa, nel dolore muto senza risposte. Buon vento, piccolo
Palloncini bianchi e blu, accompagnati nel loro volo verso il cielo da colombe che battono le ali quasi seguendo il ritmo di un applauso che pare voler scacciare un silenzio che obbliga a riflettere e interrogarsi. Uno scrosciante “ciao Renzo” per accompagnare nell’ultimo viaggio quel feretro bianco, che ha racchiuso i sogni ed i progetti di un ragazzo di 16 anni.
Nella chiesa di Sant’Antonio, alla Pizzuta, non c’è spazio neanche nel piazzale. Chi ha potuto, ha voluto testimoniare con la presenza il proprio cordoglio per la morte di Renzo Formosa, una vita improvvisamente stoppata in coda ad un rettilineo di via Cannizzo dove il destino aveva preparato un beffardo appuntamento per il giovanissimo siracusano, sotto forma di un tragico incidente stradale.
Dentro la chiesa, in prima fila, ci sono i familiari. Protetti dagli amici, tanti giovani, persino troppi di questi tempi per una chiesa. E poi le parole, quelle sussurrate a mezza bocca per dare coraggio e quelle amplificate del parroco Salvatore Nicosia. Difficile trovare una spiegazione per una fine improvvisa ed imprevista, prematura ed immeritata. “Bisognerebbe chiedere a Gesù Cristo perché ha scelto di morire per noi nella croce e risponderebbe: per amore. Un amore che raggiunge il suo culmine nell’amore di Dio come un eco che oggi ha riempito questa chiesa, in ogni angolo, con il dolore. Il dolore di Renzo che è diventato il dolore di tutti noi presenti. E’ come se il dolore di Renzo fosse diventato il nostro stesso dolore. Come se la croce di Renzo, proprio come quella di Cristo, fosse diventata la nostra stessa croce. Il suo dolore, il nostro stesso dolore”.
Lacrime contenute a fatica, per un dolore che è anche rabbia.”Un dolore che non ha risposta. Un dolore che non va accettato ma attraversato nella speranza che questa vita non abbia l’ultima parola e che oltre questa vita ci sia qualcosa di più che ci attende e non solo lacrime”, ha continuato don Nicosia. Rabbia ma non vendetta e men che meno odio.
“Renzo Vive”, recitano intanto decine e decine di magliette stampate con la faccia pulita di un ragazzo spensierato. “Te ne sei andato e nessuno di noi ti ha potuto salutare. Ci hai rallegrato e arricchito con la tua presenza. Buon vento”, legge con la voce rotta dai singhiozzi un amico di Renzo al termine della cerimonia. Un ultima carezza, prima dell’applauso che copre il silenzio ma non il dolore a cui costringe quel silenzio.