Più imprese e occupati nei settori innovativi, il dinamismo della provincia di Siracusa

Il primo trimestre del 2025 ha confermato una netta ripresa dell’economia siciliana, trainata dai settori più innovativi: digitale, energetico ed ecologico. Mentre in Italia si registra complessivamente un calo di 3.061 imprese, la Sicilia si contraddistingue come la seconda regione a livello nazionale per vitalità imprenditoriale, con un saldo positivo di 712 aziende nate rispetto a quelle cessate. Un dato in netto contrasto rispetto a gennaio–marzo 2024, quando il bilancio regionale si era chiuso con –9.338 attività. A fornire i dati è l’osservatorio economico di Unioncamere Sicilia.
Il tessuto produttivo siracusano è al centro di questa ripresa: con un saldo positivo di 203 nuove imprese registrate tra gennaio e marzo, la provincia di Siracusa è al secondo posto nell’isola tra i territori più dinamici, dopo Palermo (+310), seguita da Catania (+186), Agrigento (+62) e Trapani (+49). Questo risultato è in gran parte merito delle iscrizioni nei settori innovativi, che hanno beneficiato delle politiche di transizione ecologica e digitale promosse a livello regionale e nazionale.
Anche l’occupazione fa segnare cifre positive: in Sicilia gli addetti sono cresciuti di 4.432 unità rispetto al primo trimestre dello scorso anno, passando da 1.206.865 a 1.211.297. Il dato siracusano conferma l’effetto moltiplicatore delle nuove imprese: imprese giovani e tecnologiche che non solo creano posti di lavoro, ma alimentano un circuito virtuoso di sviluppo locale.
Secondo Giuseppe Pace, presidente di Unioncamere Sicilia, “l’Isola sta sapendo reagire all’impatto dei dazi USA grazie a un efficace coordinamento tra le politiche regionali e gli interventi nazionali”. In particolare, le risorse del PNRR territorializzate, la rimodulazione dei fondi di coesione e gli incentivi della ZES unica del Sud hanno offerto “un contesto favorevole per l’innovazione produttiva”.
Guardando al resto del 2025, Santa Vaccaro, segretario generale di Unioncamere Sicilia, prevede un’ulteriore spinta del settore turistico, favorita dagli eventi culturali in programma e dagli investimenti infrastrutturali. Anche Siracusa, con il suo patrimonio storico, naturalistico ed enogastronomico, sarà protagonista di questo rilancio, confermando la propria capacità di attrarre nuove imprese e talenti in grado di valorizzare le tipicità del territorio.




Violenza giovanile, i più fragili sono ormai “bersaglio”. La crisi educativa esplode a Siracusa

Due episodi scuotono profondamente la comunità siracusana: sabato sera, l’aggressione a una ragazzina da parte di un gruppo di coetanei ad Avola; oggi, la scoperta delle crudeli violenze inflitte da cinque diciassettenni di Siracusa a un anziano solo. Due fatti distinti eppure legati da un inquietante filo rosso: una violenza gratuita, insensata, esercitata da giovani contro i più fragili. È il segnale evidente di una crisi educativa che non possiamo ignorare fingendo che non esista o che riguardi un altro territorio, un’altra società.
Liquidare questi terribili episodi come dei casi isolati sarebbe un errore di proporzioni indicibili. Sono i segnali evidenti di un malessere profondo, silenzioso ma presente e che si annida nelle pieghe della nostra società. Le agenzie educative tradizionali — scuola, famiglia, chiesa — sembrano oggi smarrite, incapaci di parlare la stessa lingua e di tracciare un percorso comune. L’autorità genitoriale è spesso fragile, compromessa da modelli di vita frenetici, dalla necessità di lavorare entrambi e da una dipendenza collettiva dalla tecnologia. La scuola, sovraccarica e spesso messa in discussione dagli stessi genitori, fa il possibile ma non basta.​
Intanto, i social media e la televisione offrono modelli alternativi, spesso tossici: l’arroganza elevata a forma di successo, la prevaricazione come stile comunicativo, la mancanza di empatia come cifra del potere. I ragazzi si formano in questa “giungla” digitale, privi di filtri e senza gli strumenti per capire cosa è giusto e cosa è sbagliato, dove sta esattamente la linea che demarca e divide il bene dal male. In questo, gli adulti abdicano al loro ruolo educativo.
La società cosiddetta moderna non aiuta. Dove sono finiti gli strumenti sociali di supporto alla genitorialità? Quando è che abbiamo smesso di “fare comunità”?​ In molte famiglie, i figli si crescono da soli. Passano le giornate davanti agli schermi, costruendo relazioni virtuali e spesso malsane, mentre i genitori — stressati, disorientati, stanchi — faticano a imporre regole o anche solo ad offrire un’alternativa. La domanda, provocatoria ma necessaria, è: serve una “patente di genitorialità”? Forse, se intesa come momento di formazione obbligatoria, per fornire nuovi strumenti per affrontare crisi valoriali specchio dei tempi.​
La realtà è che educare è un compito difficile e continuo. E chi lo affronta – i genitori in primis – ha bisogno di strumenti, di tempo, di comunità. E invece le famiglie vengono lasciate sole, senza punti di riferimento. Prendiamo sport, un tempo valvola di sfogo e scuola di disciplina; oggi è sempre meno praticato — non solo per motivi economici – ma per l’incapacità di promuovere stimoli positivi nei giovani, mentre mancano strutture ed accompagnamento verso una pratica sportiva accessibile per tutti.​
L’altro lato del problema riguarda poi chi subisce la violenza: gli anziani, spesso soli, invisibili, dimenticati. Viviamo in palazzi in cui non conosciamo il vicino di casa, in città dove non ci si ferma più a guardare negli occhi il compagno di banco o il collega in difficoltà. L’individualismo ha vinto sulla solidarietà, l’efficienza ha divorato l’empatia. E così, anche l’indifferenza diventa complice.​
Ripartire si può. Serve però uno scatto collettivo, un’assunzione di responsabilità a tutti i livelli. Servono genitori messi nelle condizioni di essere più presenti, anche a costo di cambiare priorità governative. Servono scuole più forti, sostenute, riconosciute come cuore della comunità anche a costo di sacrificare la retorica ipocrita del perbenismo e del benaltrismo. Serve una politica che investa su presìdi educativi, sport, associazionismo, cultura. Serve soprattutto una società che torni a vedere l’altro, ad intervenire per dire “stai sbagliando”, che sappia fare la cosa giusta quando succede qualcosa di grave.​
E infine, serve ricostruire un senso di appartenenza: tornare a sentirsi parte di qualcosa, per prendersi cura l’uno dell’altro. Perché nessun ragazzo nasce bullo, nessun anziano merita l’abbandono e nessuna ferita sociale guarisce da sola.




Agghiacciante violenza ai danni di un anziano, cinque minorenni finiscono in comunità

Eseguita nelle prime ore del mattino l’ordinanza del collocamento in comunità, emessa dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale per i Minorenni di Catania, nei confronti di cinque diciassettenni originari di Siracusa. Sono accusati di atti persecutori, violazione di domicilio e danneggiamento aggravato in concorso, ai danni di un anziano signore.
La delicata attività investigativa ha tratto origine dall’intervento effettuato nei primi giorni del mese di gennaio 2024 dalle Volanti presso l’abitazione dell’uomo. L’anziano riferiva agli agenti che, da circa sei mesi, subiva angherie continue da parte di un gruppo di giovani che, quasi ogni notte, si recavano presso la sua abitazione, diventata il loro punto di ritrovo. Non riusciva ad opporre resistenza alle condotte poste in essere dal gruppetto, anche in considerazione dell’atteggiamento sempre più aggressivo tenuto dai giovani.
I ragazzi, infatti, avevano manomesso la porta di ingresso dell’abitazione dell’anziano, così da potervi accedere liberamente e, nel corso di un ampio lasso temporale, avevano video ripreso l’anziano. E lo molestavano abbassandogli i pantaloni e rasandogli i capelli a zero con un rasoio elettrico.
Non solo, per mero divertimento avevano dato fuoco ai suoi effetti personali, versando anche una bottiglia di cloro per casa.
Una sequenza di violenze continue e continuate, con i 17enni che rimaneva in casa dell’anziano senza permesso fino a notte fonda. L’uomo veniva deriso, costretto a consumare sostanze stupefacenti fino a farlo star male e obbligato a dormire su una sedia. In un’occasione gli indagati allegavano casa e appiccavano fuoco a quattro sacchi dell’immondizia che l’anziano teneva in cucina.
Gli investigatori della Squadra Mobile, sotto l’attenta direzione della Procura della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Catania, hanno svolto un’accurata attività investigativa, riuscendo ad acquisire elementi di riscontro rispetto a quanto narrato nelle denunce sporte dall’anziana vittima.




Violenza ai danni di un anziano: “La vittima sarebbe stata vessata dal gruppo per almeno sei mesi”

“L’attività investigativa condotta dalla squadra mobile della Questura di Siracusa, coordinata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Catania, ha consentito di procedere all’esecuzione della misura del collocamento in comunità di cinque minori di 17 anni, originari di Siracusa, gravemente indiziati dei reati di atti persecutori, danneggiamento aggravato e violazione di domicilio, ovviamente fatta salva la presunzione di non colpevolezza fino all’accertamento definitivo all’ultimo grado di giudizio. Si tratta di un esempio di stretto coordinamento tra l’attività di polizia giudiziaria e l’attività di controllo del territorio, in quanto il tutto prende le mosse da un intervento delle Volanti della Questura di Siracusa, allertate dalla segnalazione dell’incendio di alcuni sacchi dell’immondizia all’interno dell’abitazione di un anziano signore del ’58. A seguito degli approfondimenti investigativi, coordinati dalla Procura dei Minori di Catania, si è addivenuto all’identificazione di questi cinque ragazzi e si sono raccolte delle evidenze secondo le quali l’anziana vittima sarebbe stata assoggettata per almeno sei mesi alle vessazioni da parte del gruppo”. Così ha dichiarato Annalisa Stefani, dirigente della Squadra Mobile della Questura di Siracusa.




Gioventù violenta, cosa sta succedendo? La psicologa: “L’urgenza è l’educazione ai sentimenti”

Da un lato la violenta aggressione a Mbaye,la tredicenne di Avola da parte di alcune coetanee mentre gli altri ragazzini riprendevano i calci e i pugni con gli smartphone e si affrettavano a postare il video; dall’altro, le vessazioni da parte di un gruppo di minorenni ai danni di un anziano,molestato ripetutamente, per mesi, con terribili angherie. La cronaca di questi giorni ci racconta un territorio siracusano violento, con adolescenti che si rendono responsabili di gesti di inaudita cattiveria. Chiedersi cosa stia accadendo è naturale e obbligatorio. Se l’obiettivo è cercare una spiegazione e soprattutto una soluzione, forse a poco servono i commenti degli adulti che “liquidano” la questione semplicemente esprimendo giudizi e auspicando punizioni altrettanto violente. La psicologa Veronica Castro entra nel merito, partendo proprio dall’episodio di Avola. “Da subito -spiega Castro- è emerso con chiarezza che si trattava di un caso di bullismo, con tutte le caratteristiche che lo determinano ma anche con alcuni aspetti singolari. Di solito,infatti, il bullismo tra ragazze è più sottile e tagliente, basato sul pettegolezzo e sul silenzio, mentre quello tra ragazzi è più irruento, condotto attraverso la violenza fisica. Ad Avola,le ragazze hanno,invece,usato la fisicità, mentre gli altri stavano a guardare e a filmare. Tutta la violenza a cui assistiamo dipende forse dal fatto che l’abbiamo quasi ‘normalizzata’, anche attraverso i videogiochi e le serie tv, oltre che per il fatto che chi usa violenza sembra più forte. In realtà ,i ragazzi non sanno – e dovremmo dirglielo in maniera convincente – che chi usa la violenza e cerca di prevaricare, non sa verbalizzare, non riconosce le emozioni, non le sa esprimere”. La psicologa e Garante dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza del Comune di Melilli invita, tuttavia, a non limitarsi a puntare l’indice contro i giovanissimi. “I bambini e i ragazzi non vedono di certo gli adulti fare squadra, lavorare insieme, adoperarsi gli uni per gli altri. Non sanno, quindi, come si faccia,  non sanno come si coopera e condivide. Vedono gli adulti litigare o, ancora più spesso, li vedono isolati, in gruppi ristrettissimi, con un individualismo imperante. Non parliamo solo dei loro genitori, ma di tutti gli adulti di riferimento”. Secondo la psicologa Castro, inoltre, non è affatto vero che ci siamo evoluti rispetto a quella che consideriamo “diversità”. “La verità è che non siamo aperti al ‘diverso’ rispetto a noi. Non riusciamo a confrontarci e rispetto alle altre culture, spesso cadiamo nella trappola dei cosiddetti bias cognitivi, in quella categorizzazione sociale, cioè, che è un meccanismo che da una parte serve a semplificare la percezione del mondo esterno ma dall’altra porta a stereotipi e pregiudizi”. Difficile capire se i ragazzi che si rendono responsabili di gesti di violenza come quelli che la cronaca racconta in questi giorni ne siano pienamente consapevoli. “Di certo è una scelta quella di fare il bullo- puntualizza Castro- come lo è quella di non difendere chi ne è vittima e lo è quella di non difendersi e non chiedere aiuto agli adulti. Senza dubbio-aggiunge la psicologa Castro- serve un’educazione ai sentimenti e alle emozioni, non solo per i ragazzi, ma anche per gli adulti. Se ne parla molto ma non si fa nulla per l’educazione affettiva. Intervenire è urgente-conclude la Garante dei Diritti dell’Infanzia- e dovremmo farlo davvero, anche perché i bulli- ricordiamocelo- sono in realtà soggetti estremamente fragili”.




Il ‘branco’ che si accanisce su un anziano, il drammatico precedente: l’omicidio di Pippo Scarso

L’agghiacciante vicenda di violenza ai danni di un anziano di Siracusa, vessato per mesi da un gruppo di minorenni, che quasi ogni notte si introducevano in casa sua per sottoporlo ad angherie e violenze riporta immediatamente la mente alla tragedia di cui nella notte tra l’1 e il 2 ottobre 2016, rimase vittima Giuseppe Scarso, 80 anni, conosciuto nel quartiere Grottasanta come “don Pippo”. L’anziano fu aggredito nella sua abitazione in Ronco II di via Servi di Maria. Due giovani, Andrea Tranchina e Marco Gennaro, si introdussero nella sua casa: uno di loro cosparse il capo dell’anziano con del liquido infiammabile e gli diede fuoco mentre dormiva. Don Pippo riportò ustioni gravi e, dopo oltre due mesi di agonia, morì all’ospedale Cannizzaro di Catania, dove era stato ricoverato in gravissime condizioni. I due giovani furono condannati a 17 e 16 anni mentre un terzo ragazzo, coinvolto in precedenti atti di bullismo nei confronti dell’anziano ma non presente la notte dell’aggressione, fu condannato a 4 mesi per stalking.
La tragedia di cui Scarso rimase vittima era maturata in un contesto di solitudine, la sua, e certamente di atti di bullismo di cui era spesso bersaglio. La sua vulnerabilità lo rendevano un facile obiettivo. L’aggressione che portò alla sua morte fu l’apice di una serie di molestie subite nel tempo. L’episodio aveva fortemente scosso la città, sembrava che quella profonda ferita avrebbe cambiato la comunità nel suo ‘dna’. Nel tempo,dopo le condanne in primo grado,  era anche stata lanciata la proposta di intitolare a Pippo Scarso il ronco in cui si trovava la sua abitazione, perché fosse un monito per sempre e per tutti.
La vicenda che ha adesso condotto cinque minorenni in comunità, accusati di atti persecutori, violazione di domicilio e danneggiamento aggravato in concorso presenta diverse analogie con la tragedia del 2016, quasi dieci anni fa, che non è stata sufficiente ad insegnare abbastanza.




Episodi di violenza, il sindaco Italia: “Indifferenza e crudeltà non prendano sopravvento”

“Condanno con fermezza e profondo sdegno quanto accaduto ai danni di un anziano concittadino, vittima di una brutale e ripetuta violenza da parte di un gruppo di minorenni. Una vicenda che ci ferisce profondamente come comunità, perché colpisce chi dovrebbe essere tutelato e rispettato con maggiore attenzione. Nel leggere le modalità con cui questo accanimento si è espresso, il pensiero corre anche ad un altro episodio che ha recentemente turbato la nostra città: l’uccisione vigliacca e insensata della cagnolina di quartiere Timida. C’è un filo che unisce questi gesti: la perdita del senso del limite, dell’empatia, del rispetto per la vita e per la fragilità altrui. È una deriva che non possiamo ignorare, che dobbiamo affrontare non solo con gli strumenti della giustizia, ma anche con un forte impegno educativo e culturale”. Lo dice il sindaco di Siracusa, Francesco Italia, commentando la notizia dei 5 giovani finiti in comunità in coda ad una storia di terribile violenze contro un anziano solo.
“Siracusa è una città che ha nel rispetto e nella cura i propri fondamenti civili. Non possiamo permettere che l’indifferenza o la crudeltà prendano il sopravvento. E oggi più che mai, dobbiamo lavorare insieme – istituzioni, scuole, famiglie, cittadini – per riaffermare questi valori e proteggere ciò che ci rende umani”.




Rapina alle Poste di viale Teracati: due uomini in fuga

Rapina a mano armata questo pomeriggio, intorno alle 14, all’ufficio postale di viale Teracati. Due uomini a volto coperto e armati di una pistola, non si sa se giocattolo, sono entrati dall’ingresso secondario e si sono fatti consegnare il denaro, facendo poi perdere le proprie tracce. La somma asportata non è stata ancora quantificata. Nessun ferito. Indagano i Carabinieri di Siracusa.




Violenza giovanile, il prefetto Signer: “Serve responsabilità sociale e individuale, bisogna dare un segnale”

Al corteo ad Avola per dire no alla violenza c’era anche il prefetto di Siracusa, Giovanni Signer. “Siamo qui per testimoniare la vicinanza, intanto, a queste ragazzine e alle loro famiglie, e per indicare a tutti quelli che si sono resi responsabili di questo gesto — e non parlo solo delle ragazzine che hanno picchiato queste due giovani, ma soprattutto di tutti quelli che si sono preparati e che hanno fatto in modo di far girare questi video sui social — il valore negativo di ciò che è accaduto, e del fatto che queste ragazzine non sono rimaste sole, e che tutte le istituzioni e la società sono insieme a loro”, ha detto il prefetto di Siracusa ai microfoni di SiracusaOggi.it.
Due episodi scuotono profondamente la comunità siracusana: sabato sera, l’aggressione a una ragazzina da parte di un gruppo di coetanei ad Avola; oggi, la scoperta delle crudeli violenze inflitte da cinque diciassettenni di Siracusa a un anziano solo. Cosa si può fare per contrastare questo fenomeno di violenza giovanile? Il Prefetto non usa giri di parole e chiama alla responsabilità: “Le istituzioni hanno la massima attenzione. Qui è un discorso di responsabilità sociale e responsabilità individuale. Io credo che la prima cosa da fare la dovrebbero fare i soggetti che hanno visibilità pubblica. Io credo che gli artisti, in primis, dovrebbero dare un segnale concreto. Finché sul web gireranno contenuti violenti, messaggi misogini, cambierà poco. C’è il massimo impegno delle istituzioni, ma la responsabilità individuale di persone che hanno visibilità pubblica è fondamentale.




Avola dalla parte di Mbaye, l’abbraccio del corteo contro ogni violenza. “Chiediamo giustizia”

Avola scende in piazza dopo l’aggressione ad una tredicenne da parte di un gruppo di coetanei. Un episodio di violenza minorile che ha generato una profondata ondata di sdegno. In centinaia questa mattina hanno sfilato in corteo, c’erano le scuole ma anche i genitori insieme ad autorità e società civile. In apertura, lo striscione mostrato dai giovanissimi alunni: “No all’indifferenza”. Accanto ci sono il sindaco Rossana Cannata, il vescovo di Noto Rumeo, il prefetto Signer, le forze dell’ordine, don Fortunato di Noto (Meter) e il centro antiviolenza. Tutti si stringono attorno alla famiglia di Mbaye, vittima di quella aggressione, e presente insieme alla mamma ed al papà. Un abbraccio forte e chiaro, come la scelta di stare subito dalla parte giusta, condannando la violenza. Ed è proprio la richiesta di giustizia a levarsi ad ogni passo del corteo, sino all’arrivo nella zona di via Piersanti Mattarella. Un altro cartellone preparato dagli studenti che già alle 8 di questa mattina hanno iniziato a confluire in piazza Baden Powell invita a non tacere davanti agli episodi di bullismo: “Il silenzio non vince”. Mai stare in silenzio, mai limitarsi ad usare il telefonino solo per filmare e condividere violenza a caccia di like.
Le forze dell’ordine hanno già identificato cinque giovanissimi protagonisti di quel turpe episodio. Si tratta di quattro ragazzine e di un ragazzo tutti di età compresa tra i 13 ed i 15 anni. Sono stati individuati grazie alle telecamere di videosorveglianza della zona ed ai video diffusi sui social. Alcune “bulle” hanno fatto arrivare le loro scuse alla ragazzina aggredita. “Difficile per ora parlare di perdono”, taglia corto la mamma della giovane vittima.
Il movente dell’aggressione è ancora al vaglio degli inquirenti che stanno anche valutando la posizione di altri giovani coinvolti nell’episodio. Al momento, i minori maggiori di 14 anni sono indiziati di lesioni personali non escludendosi, allo stato, anche l’aggravante razziale. Per gli altri, la legge non esclude che il Giudice competente realizzi un giudizio di pericolosità sociale con tutte le conseguenze del caso.