Inquinamento e infertilità, 40 per cento di aborti: a Siracusa scienziati a confronto

Nella zona industriale della provincia di Siracusa si registra un tasso di abortività pari al 40 per cento. E’ uno dei dati emersi dal congresso regionale della Siru, la società italiana di Riproduzione Umana, che per la prima volta in Italia è andato ad approfondire a 360 gradi un’emergenza che desta grande preoccupazione a livello globale e che nell’isola presenta altissimi fattori di rischio. L’approfondimento scientifico si è svolto all’Urban Center e proseguirà anche oggi. Ginecologi, andrologi, biologi, genetisti, pediatri, psicologi, e cittadini-pazienti a confronto.Il presidente della SIRU Antonino Guglielmino ha rilevato «l’urgenza di un monitoraggio capillare delle aree a rischio, sollecitando in particolare Stato, Regione ed enti locali a sostenere la ricerca e ad avviare una virtuosa rete per la lotta all’infertilità che tenga conto anche dei fattori ambientali e degli stili di vita, oltre che delle altre cause di denatalità, come l’aumenta età media in cui le donne italiane, fanalino di coda in Europa, mettono al mondo il primo e spesso unico figlio. Ricordiamo che le primipare in Italia hanno un’età media di 32,5 anni, contro – ad esempio – i 28,9 delle francesi. In altre parole, nel determinare il calo delle nascite, a quelle che sono le esigenze economiche, di studio e carriera si affiancano, perfino con maggiore incidenza le, cause ambientali e le abitudini quotidiane a rischio».Su questa incidenza predominante si è soffermato il copresidente della SIRU, l’uroandrologo Luigi Montano, tra i massimi esperti mondiali di Patologia Ambientale. Montano ha tenuto una relazione proprio sulle correlazioni tra Ambiente e Infertilità, materia in cui ha oramai raggiunto un riconoscimento internazionale grazie al progetto EcoFoodFertility, che trova il suo maggiore sviluppo nelle aree a rischio ambientale non solo d’Italia, disegnando nuovi scenari per la valutazione precoce del rischio salute e per la prevenzione: «Innanzitutto – ha sottolineato lo studioso – vorrei puntualizzare che è la prima volta che in Italia viene organizzato un convegno scientifico interamente dedicato al rapporto tra inquinamento e fertilità, laddove le alterazioni di quest’ultima pongono le basi per nuovi modelli di valutazione di impatto ambientale sulla salute umana in generale, nonché per nuove politiche di prevenzione, da suggerire ai policy makers nell’ambito più ampio della salvaguardia della salute pubblica. Infatti i biomarcatori riproduttivi, in particolare quelli seminali, estremamente sensibili agli stress ambientali, risultano precoci predittivi delle patologie cronico-degenerative delle attuali e future generazioni, vista la trasmissibilità epigenetica dei danni. Possono perciò rappresentare una chiave di volta per una rivoluzione in campo epidemiologico. In sostanza occorre non solo valutare gli esiti di danno come fanno i registri tumori, ma cambiare il modello di valutazione del rischio salute, prendendo in considerazione i sistemi organo-funzionali “Sentinella” come l’apparato riproduttivo, che può dare informazioni precoci di modificazione funzionale o strutturale, prima che si manifesti il danno clinico».I dati sono allarmanti e richiedono impegno e determinazione. Afferma ancora Montano: «Basta contare i morti. Bisogna agire a monte. Si tratta insomma di capovolgere l’approccio verso la vera prevenzione delle malattie delle nuove e future generazioni. In tale prospettiva, il mondo della riproduzione può avere un ruolo fondamentale per costruire “l’antenna epidemiologica” precoce nei territori a rischio, a servizio del nostro Paese che pur essendo il più bello al mondo sconta ancora troppo il peso della cattiva gestione dell’ambiente. A sostegno di questo nuovo approccio sono i dati di studi pubblicati dal nostro gruppo di ricerca nell’ambito del progetto EcoFoodFertility. Infatti, in un confronto fra 222 maschi sani, omogenei per età, indici di massa corporea e stili di vita, equamente distribuiti fra Terra dei Fuochi ed un’area a basso impatto ambientale nel salernitano come l’Alto Medio Sele, abbiamo riscontrato differenze statisticamente significative. Nelle aree a rischio abbiamo rilevato più metalli pesanti nel sangue e soprattutto nel seme (Cromo, Zinco, Rame), alterazioni dell’equilibrio delle difese antiossidanti e detossificanti nel liquido seminale e non nel sangue, ridotta motilità spermatica, aumentato danno al DNA degli spermatozoi e maggiore allungamento dei telomeri spermatici e non in quelli leucocitari. Ancora, in uno studio pubblicato a marzo 2018 su 327 campioni di liquido seminale di maschi omogenei per età, provenienti dall’area SIN pugliese (lavoratori ILVA di Taranto e residenti di Taranto), area SIR campana (residenti in Terra dei Fuochi) e aree a più bassa pressione ambientale (Palermo ed Alto medio Sele nel Salernitano), abbiamo registrato più alti livelli di PM10, PM2.5, Benzene si correlavano ad alterazioni del 30 per cento in più del DNA spermatico».