La crisi fa paura: Isab Lukoil ferma alcuni impianti e presenta piano di "sopravvivenza"

Non era mai successo in qualcosa come 45 anni di storia industriale siracusana. Per la prima volta, alcuni degli impianti produttivi di una delle più grandi raffinerie europee, Isab-Lukoil di Priolo, non ripartiranno dopo la fermata generale. La crisi morde, aggravata dal covid. E’ calata vertiginosamente la domanda, le perdite sono ingenti e le prospettive per il 2021 non vanno oltre alla semplice sopravvivenza. Esiste un’alternativa? Si, ma è meglio non prenderla in considerazione, perchè sarebbe la chiusura. Una tragedia occupazionale ed economica per la provincia di Siracusa che – volente o nolente – poggia sui numeri garantiti dalla zona industriale. I sindacati rumoreggiano e annunciano la rottura delle relazioni, dopo la presentazione del piano aziendale per l’anno che verrà.
“Non è un piano di riorganizzazione, è un piano di sopravvivenza. Per non chiudere”, spiegano fonti vicine al management del colosso petrolifero. Nei primi 3 mesi del 2021 tutti i dipendenti diretti di Isab Lukoil (inclusi i dirigenti), secondo un calendario a rotazione, dovranno usufruire delle ferie arretrate senza perdere un euro nello stipendio mensile. Ma da aprile, però, la situazione cambia: previsto il ricorso alla cassa integrazione, per almeno 9 mesi. Anche in questo caso, il principio adottato è quello della rotazione: 5 giorni di cig al mese per i giornalieri, 4 giorni al mese per i turnisti. Presentato come un sacrificio necessario per evitare i licenziamenti o, addirittura, lo stop diretto degli impianti, comporterà in media una diminuzione del 20% della retribuzione. “Quanto stiamo mettendo in atto ci servirà a superare l’attuale momento di crisi, per essere pronti a cogliere ogni possibile miglioramento dei margini quando questo miglioramento si presenterà”, è la chiosa della comunicazione prospettata ai sindacati aziendali nei giorni scorsi.
Le ricadute più pesanti saranno sull’indotto, ovvero quella pletora di ditte che gravitano nell’orbita della zona industriale per riparazioni, manutenzioni e simili. Con meno investimenti e meno impianti in marcia, diminuirà il ricorso a quei servizi.
La verità, però, è che nessuno oggi è in grado di dire con certezza cosa accadrà dalla seconda metà del 2021. Le tinte, ad oggi, sono fosche. “La politica industriale del governo guarda con astio al mondo della raffinazione. Più che un asset strategico del Paese, ci trattano come un problema. Con il rischio così di dover in futuro acquistare dall’estero i prodotti raffinati”, è lo sfogo di alcune fonti industriali siracusane.
Ma i sindacati unitari non ci stanno. Valutano le iniziative adottate “inadeguate ad affrontare il momento contingente, in quanto prive di solidità e prospettiva futura per la nostra raffineria. Far gravare ulteriormente sulle spalle dei lavoratori, diretti e non, soprattutto in un territorio che sta già pagando un prezzo altissimo in
termini occupazionali ed economici, le conseguenze del difficile momento, è per noi inaccettabile”, si legge nella nota delle segreterie territoriali dei chimici di Cigl, Cisl e Uil. Le tre sigle “ritengono interrotte con effetto immediato tutte le relazioni sindacali e, nell’ottica della più ampia diffusione, organizzeranno incontri con i lavoratori per coordinare tutte le azioni da mettere in campo, per arginare comportamenti aziendali ritenuti antisindacali ed altamente lesivi dei singoli e della collettività”.