La morte di Calogero Rizzuto: "medici censurabili ma covid era poco noto"

Nella relazione dei quattro consulenti nomimati dalla Procura di Siracusa nell’inchiesta sulla morte di Calogero Rizzuto, si parla di approcci censurabili da parte dei medici dell’ospedale Umberto I di Siracusa ma con l’attenuante delle allora poche conoscenze circa il coronavirus.
Rizzutto, direttore del parco archeologico di Siracusa, morì dopo alcuni giorni di ricovero nel marzo dello scorso anno. La vicenda assunse subito una eco nazionale e i familiari puntarono il dito contro la struttura ospedaliera anche per il mancato ricovero immediato. L’Asp, sul punto, ha sempre replicato che era stato lo stesso Rizzuto a rifiutare il ricovero proposto. Sul punto i consulenti però sono impossibilitati a fare chiarezza, come scrivono nella loro relazione.
“Si ritiene censurabile l’approccio della responsabile dell’Unità Operatova di Malattie infettive del presidio ospedaliero Umberto I – si legge nella relazione – per non aver predisposto approfondimenti diagnostici e il ricovero ospedaliero sulla evidente sintomatologia respiratoria acuta e febbrile accusata da Rizzuto”. Una censura che, secondo i consulenti della Procura, va riferita sia alla valutazione del 9 marzo 2020 (solo esecuzione del tampone diagnostico  senza alcuna valutazione clinica), sia alla visita effettuata in data 11 marzo 2020  (nessun “approfondimento diagnostico differenziale tra patologia  Covid correlata  o altra affezione”).
A tal proposito, “l’esecuzione di esami di laboratorio  ed indagini radiologiche specifiche (radiografie del torace o Tac)  avrebbero consentito di anticipare la diagnosi di polmonite da Covid19  e cominciare il trattamento farmacologico  e di supporto respiratorio necessario”, scrivono i consulenti.
Nella relazione del responsabile di Malattie infettive si evidenziava che Rizzuto avesse rifiutato il ricovero in ospedale, circostanza contestata dalla famiglia “ma c’è l’impossibilità da parte nostra di accertare come siano realmente andati i fatti”. I consulenti sostengono, inoltre, che “altrettanto censurabile si ritiene il coordinamento del responsabile del Centro di prevenzione per non aver tempestivamente preso in incarico il paziente lasciando sostanzialmente il medico curante come unico gestore del caso clinico”.
Ma c’è poi il passeggio collegato alle attenuanti che andrebbero concesse, perché il coronavirus non era ancora perfettamente conosciuto, all’epoca dei farti. Quindi non si può avere certezza sul fatto che una diagnosi più celere avrebbe “evitato il decesso del paziente”. “A causa delle scarse conoscenze  della patologia da Covid19 non è possibile affermare  che una maggiore tempestività nella formulazione diagnostica avrebbe con  altra probabilità logica prossimo alla certezza  evitato il decesso del paziente”.