“Lele ha cucito la vita di tante persone. Finalmente giustizia, quando pochi ci speravano”

Ventisei anni dopo, c’è una verità processuale. Ci sono due condanne definitive per l’omicidio di Lele Scieri. C’è la conferma di una ricostruzione agghiacciante, partita da atti di nonnismo spiccioli e dilagata in violenza omicida. Ventisei anni. Dopo una coraggiosa commissione parlamentare d’indagine, una determinata Procura di Pisa, un nuovo atteggiamento del ministero della Difesa, una dignitosa famiglia che ha combattuto sempre e solo per la verità.
Ha vinto la giustizia, ha perso la giustizia? Sentimenti e sensazioni contrastanti, in una storia che ha rischiato per tanto, troppo tempo di essere “solo” uno dei tanti misteri italiani, casi senza soluzione eppure così dolorosi.
“Sono vere entrambe le cose. Perché sicuramente questa storia è caratterizzata da un cambio di passo, evidenziato anche ieri dal procuratore generale nel corso della requisitoria in Cassazione. L’inizio è stato purtroppo caratterizzato da quell’omertà che ha portato tutti a tacere, in coda ad indagini che probabilmente non sono state svolte correttamente. Anche il ritrovamento del cadavere tre giorni dopo la morte ha sicuramente influito, in quanto le condizioni del cadavere non hanno consentito di rintracciare tante delle ferite che magari avrebbero potuto chiarire fin dall’inizio, come la famiglia ha sempre saputo, come gli amici hanno sempre saputo, che non si poteva trattare di un suicidio. Quindi c’è stata questa omertà, anche da parte dello Stato”, commenta oggi l’avvocato Alessandra Furnari che insieme al collega Ivan Albo ha assistito la famiglia di Lele Scieri. “C’è stato un momento, però, in cui lo Stato ha cambiato la sua prospettiva. E quel momento ha coinciso con la commissione parlamentare presieduta da Sofia Amoddio. E poi con l’impegno che la Procura di Pisa ha posto nello svolgimento di queste nuove indagini. Anche la Difesa, che noi avevamo chiamato come responsabile civile, ha assunto le proprie responsabilità in ordine a quel tempo ed a quelli che erano i suoi militari”.
Se oggi esiste una verità processuale, una buona parte del merito è da riconoscere al lavoro solitario e certosino condotto dall’allora parlamentare del Pd, Sofia Amoddio, con una commissione parlamentare d’indagine che svelò i buchi delle vecchie teorie e gli elementi di prova, molti esistenti già all’epoca dei fatti. “Emanuele ha cucito le vite di tante persone che si sono ritrovate a lottare per la giustizia in un momento in cui nessuno più ci credeva”, commenta. “Oggi dopo tanti anni posso dire che sono accadute le cose giuste, al momento giusto. Io in due anni di commissione ci ho messo tutta me stessa, ma era un tunnel buio. Non sapevo dove saremmo arrivati. Ho conosciuto tante persone, anche ad esempio il procuratore Crini. Fino ad arrivare agli avvocati che hanno poi seguito il caso perché io non volevo mischiare i ruoli”.
E’ la prima volta in Italia che una commissione parlamentare riesce a far riaprire un caso giudiziario. “Erano state fatte quattro archiviazioni, due dalla Procura di Pisa e altrettante da parte della Procura Militare.
Dalla riapertura del caso, sono stati individuati i responsabili per come evidenziato dalla commissione. E poi gli avvocati hanno fatto il percorso processuale, insieme alla famiglia. Oggi siamo alla parola fine, dopo 26 anni. E sono tanti…”.