Quando il boss Giuliano minacciava di uccidere il giornalista Borrometi

Salvatore Giuliano, capomafia di Pachino, da ieri in carcere insieme ad altre 18 persone, era balzato agli onori delle cronache nazionali lo scorso aprile. Intercettato dalla polizia, lasciava trasparire la volontà di “organizzare un’eclatante azione omicidiaria” per togliere di mezzo “lo scomodo giornalista” Paolo Borrometi che con le sue inchieste aveva svelato affari e interessi del gruppo di Giuliano. Il piano prevedeva la complicità del potente clan Cappello di Catania. In conversazioni ascoltate dalla polizia, i “pachinesi” lasciano poco alla fantasia: “scendono una decina, una cinquina, cinque, sei catanesi, macchine rubate, una casa in campagna, uno qua, uno qua… la sera appena si fanno trovare, escono… dobbiamo colpire a quello, bum, a terra! E qua c’è un iocufocu (fuochi d’artificio, ndr)! Come c’era negli anni 90, in cui non si poteva camminare neanche a piedi… Ogni tanto un murticeddu vedi che serve, c’è bisogno”. Una vicenda per la quale Giuliano è stato rinviato a giudizio.
“Loro oggi sono in carcere. Loro che volevano farmi saltare in aria con un’autobomba, che volevano ammazzarmi, che sono a processo per minacce di morte aggravata dal metodo mafioso nei miei confronti; loro che hanno tentato in ogni modo di delegittimarmi, per poi farmi fuori; loro che hanno reso una intera comunità nella paura più pressante. Ci ho sperato e creduto sin dal primo momento, quando anni fa ho iniziato a scrivere su Pachino”, esulta sulla sua pagina facebook il giornalista Paolo Borrometi. “Il ringraziamento più sentito alla Procura di Catania, ai Magistrati che in silenzio lavorano per liberare il territorio, alla Polizia, Mobile di Siracusa e Commissariato di Pachino. Grazie a voi che avete reso possibile la liberazione di un territorio soffocato”.