Sea Watch a Catania e ora Siracusa si interroga: città ipocrita o dal cuore d’oro?

Ora che la Sea Watch è a Catania, si spengono le luci su Siracusa. Le troupe e gli inviati si sono spostati, puntando le telecamere verso nuovi scenari ed altri protagonisti. E ora la città si interroga sulla sua sostanza: è terra dal cuore d’oro o patria dell’ipocrisia?
La risposta non è così semplice come potrebbe apparire in un primo momento. Al di là dello spirito di partigianeria delle due fazioni in lotta, attorno alla Sea Watch ferma in rada si è mosso il meglio ed il peggio della siracusanità.
Per un capoluogo che raramente prende posizione, assistere a sei giorni di presidio, rivedere gente scendere in piazza per una mobilitazione continua, anche se minoritaria, è novità degna di nota. Il riaffiorare della forza di un ideale, condivisibile o meno, è fattore positivo. Meno il tentativo di voler imporre lo slancio umanitario come pensiero dominante e di civiltà assoluta, senza ascoltare o provare a capire le ragioni di chi ha chiesto stessa attenzione per gli ultimi di casa nostra, finendo per essere etichettato come razzista. Siracusa è città accogliente, ma è anche città in sofferenza (e non insofferente).
Non che siano mancati gli allarmanti segnali di una rabbia xenofoba, ammaliata da slogan che parlano alla pancia. Però non ha aiutato a contrastarne l’avanzata quella ipocrisia a go-go che ha spinto ad offrire lavoro ai 47 migranti che a Siracusa nemmeno ci volevano venire, voltando le spalle alla disoccupazione che galoppa tra i giovani siracusani. E i sindacati che hanno sventolato i loro vessilli a Stentinello o in largo XXV Luglio questo dovrebbero saperlo. Accecati dal circo mediatico, tutti pronti a spararla sempre più grossa quasi come se esistesse una solidarietà più chic di un’altra. E guai a dire che anche a Siracusa la fame morde, il lavoro non c’è ed i giovani siracusani fanno i migranti in Italia ed in Europa per un futuro che da qui non si vede se non lontano, molto lontano dalla baia di Santa Panagia. Ed in effetti la politica non lo ha fatto, impegnata a precipitarsi da ogni dove per portare solidarietà, a saltare sui gommoni ed a salire a bordo senza accorgersi di quel polo industriale di fronte alla Sea Watch ed alle problematiche connesse: dall’occupazione all’inquinamento. Senza notare quella fabbrica di Eternit dismessa accanto alla quale parcheggiavano gli uplink per i collegamenti tv o i rifiuti a bordo strada e sugli scogli, da Targia a Stentinello.
E’ sbagliato confondere e mischiare i livelli narrativi, si dirà. Ed in parte è vero. Ma la cattiveria di tanti commenti social nasce anche perchè ci sono persone che si sentono abbandonate, che galleggiano a fatica in mezzo ad una società che non li vede o finge di non vederli mentre annegano tra debiti, sfratti e disoccupazione senza alcuna speranza di incrociare una nave Ong che possa traghettarli altrove.
Cosa ci lascia allora questa complessa vicenda? La necessità di tornare a guardarci allo specchio, a vedere con occhi spalancati cosa è Siracusa senza nasconderci le sofferenze, i problemi, i limiti ma anche le qualità ed i buoni esempi. Riprendiamo a parlarci, ad incontrarci, ad ascoltarci e magari provare a capirci più che dividerci. Perchè non è sempre e solo questione di avere ragione o torto. Il cuore di Siracusa è sempre stato grande, ma adesso è stanco.