Siracusa. La commissione d'inchiesta sul caso Scieri rivela: "indagini superficiali nel 99"

A quasi diciotto anni dal tragico omicidio di Emanuele Scieri, l’avvocato siracusano in servizio di leva nei parà e ritrovato cadavere all’interno della Caserma Gamerra di Pisa nell’agosto del 1999, emergono dei risvolti “incomprensibili nello svolgimento delle indagini dei carabinieri”.
Lo sostiene la presidente della commissione parlamentare d’inchiesta, Sofia Amoddio. “Nel corso della audizione pubblica di ieri abbiamo ascoltato l’appuntato scelto dei carabinieri Alessandro Pirina ed il luogotenente Pierluigi Arilli, entrambi inviati sul luogo del delitto dalla stazione dei Carabinieri di Pisa e dal Nucleo Radiomobile non appena fu rinvenuto il cadavere. Dalle loro dichiarazioni si evince che entrambi hanno svolto indagini senza attuare le necessarie precauzioni e senza indossare idonea attrezzatura, al fine di preservare il luogo del delitto”. Non solo, “scopriamo solo adesso che sul luogo del delitto erano presenti circa una ventina di persone tra Nucleo radiomobile dei Carabinieri, stazione centrale dei Carabinieri di Pisa, stazione dei Carabinieri interna alla caserma dei pará e polizia militare; nessuno dei presenti ha mai indossato guanti o calzari; il Pirina, che si occupava dei rilievi fotografici, salì indisturbato e senza guanti sulla scala dalla quale si ipotizza fu fatto cadere Scieri, cancellando probabili tracce di impronte digitali; inoltre, dai rilievi fotografici di allora, si evince che un carabiniere calpestava con gli scarponi d’ordinanza il tavolo su cui era appoggiato il piede destro di Scieri”. E Sofia Amoddio, parlamentare ma anche avvocato, sa bene che “l’indagine di un delitto non può essere compiuta con tale superficialità, dato che le prime ore dalla scoperta del cadavere sono quelle più importanti per la ricostruzione dei fatti”.
I superiori ordinarono di proseguire le indagini senza corretta attrezzatura, in quanto non si riteneva necessario prestare le idonee cautele, essendo la morte di Scieri stata segnalata come un caso di suicidio. Nessuno pensò di chiamare il magistrato né tantomeno il nucleo dei Ris che avrebbe provveduto a mettere in sicurezza il luogo del delitto ed avrebbe permesso di accertare una verità che qualcuno nasconde ancora oggi.
Ma la commissione evidenzia anche quelli che sembrano altri elementi enigmatici e difficili da comprendere. Pirina ha riferito, come risulta da alcuni atti di indagine dell’epoca, che il suo dna corrispondeva con quello rilevato da una macchia ematica individuata sulla protezione metallica della scala su cui si ritiene che Scieri sia salito poco prima della morte. Pirina però, ricorda di non essersi mai ferito durante lo svolgimento degli accertamenti sulla scala metallica e che quella macchia era già esistente quando arrivò ai piedi della torretta e fu proprio lui a fotografarla. Per le sue caratteristiche quel sangue non poteva che risalire a diverse ore prima del suo arrivo. Arilli, che nell’informativa dei carabinieri del 18 dicembre 2000 risulta aver aperto il marsupio di Scieri, preso il telefonino e chiamato il proprio cellulare per constatare quale fosse il numero di Scieri, oggi confuta questa ricostruzione e sostiene che ad estrarre dal marsupio il cellulare fu il maresciallo Cataldo. “Da questi comportamenti – prosegue Amoddio – si evince come questa indagine sia stata pesantemente inquinata dalle modalità d’investigazione, in quanto non venne attuata nessuna precauzione per evitare l’inquinamento dei luoghi e la dispersione di elementi di prova utili ad individuare il possibile colpevole. Non venne mai disposto, ad esempio, l’accertamento delle impronte digitali sulla scala che ci avrebbe detto con certezza se Scieri fu costretto a salirvi. Per quale motivo si decise di operare in questo modo? Perchè non esistono verbali in cui si dice che il carabiniere Arilli o il carabiniere Cataldo presero il cellulare di Scieri o che il carabiniere Pirina si ferì sulla scala nel corso delle indagini? A chi apparteneva allora la traccia di sangue rinvenuta?”. Ancora interrogativi su interrogativi in uno dei misteri italiani.
“Il lavoro della commissione – conclude Amoddio – prosegue senza sosta, il nostro obiettivo non è solo quello di trovare conferma a ciò che già gli atti processuali dicono, ovvero che si è trattato un omicidio, ma anche la speranza che proprio dopo tanti anni qualcuno si svuoti di un peso, che qualcuno mostri ancora dignità e dica cosa è avvenuto quella sera, perché qualcuno ha visto”.