Siracusa. L'omicidio di Franco Iraci. Il racconto del testimone: "Se ne è andato tra le mie braccia"

“Se ne è andato tra le mie braccia”. A parlare è un amico di Franco Iraci, morto nelle prime ore di sabato mattina dopo una lite con Seby Musso. Lo chiameremo Marco, nome di fantasia per tutelarne la privacy. E’ rimasto accanto all’amico fino alla fine. E’ stato lui a chiamare i soccorsi ed a raccontare quello che era accaduto.
Dopo qualche ora di indecisione, ha voluto raccontare quanto ha già spiegato e rispiegato alle forze dell’ordine. Lo ha fatto con un lungo post su Facebook.
“Franco era un amico vero”, sottolinea più volte. Ricorda che “quella sera mi chiamò tante di quelle volte” perchè sapeva “che avevo passato una giornata del c., cercava di sollevarmi il morale. Ha passato gran parte della serata con me vicino ridendo e scherzando”. Con loro c’è anche Seby Musso.
Decidono di andare in Ortigia, il centro storico. “Nella macchina Franco ha fatto una battuta verso una ragazza. A Seby – scrive Marco – gli è scaturita una sorta di gelosia. Da lì ha incominciato a buttare voci verso Franco”. Lì per lì ha pensato stessero scherzando. “Mi sono ricreduto quando ad un certo punto ho detto a Seby di fermare la macchina perchè preferivo andarmene a piedi”. E da lì è nato il caos.
“Seby ha strappato gli occhiali dal volto di Franco, rompendoli”, ricorda l’amico. “Tiro Franco fuori dalla macchina e ci mettiamo a camminare. Seby, non contento, da dietro sfrerra uno schiaffo nell’orecchio a Franco. Io prendo le sue difese e ce ne andiamo”. Ma Iraci sanguina dall’orecchio. “E gli ho detto:Franco come ti senti? Lui mi rassicura”.
I due arrivano in via Vittorio Veneto. Iraci si accorge di avere dimenticato il cellulare nella macchina di Musso. “Franco, poi lo prendiamo domani”, dice Marco che preferirebbe aspettare un momento di calma prima di un nuovo incontro tra i due.
Ma Iraci aveva bisogno del telefono, perchè di mattina aspettava la chiamata dei figli. “Franco facciamo una cosa, mettiti distante lo prendo io il cellulare e ce ne andiamo”, dice Marco. Prende il telefono e chiama Musso all’1.57. Si danno appuntamento nei pressi del mercato. “Ma Seby con un aria di sfida e minacciosa dice ‘si certo che te lo porto’. Ho capito che ci sarebbe stata un altra colluttazione”.
Musso arriva in auto, “cercando di investirmi” dice ancora il terzo dei tre amici. “E’ sceso e abbiamo cercato il cellulare. L’ho trovato io. Ma vedevo che aveva intenzione di colpire Franco. Allora ho cercato di trattenerlo”.
In pochi minuti accade l’irreparabile. Iraci si avvicina, “forse per cercare di ragionare” con l’amico. Musso si libera dalla presa di Marco “e sferra un pugno con tale forza che ho sentito un tonfo”.
Franco Iraci cade a terra. Musso non si rende conto della gravità di quanto accaduto e va via. Marco no. Corre subito dall’amico. “L’ho preso come un bambino tra le mie braccia. Il sangue colava”. Lo chiama più volte. “Franco, Franco…”. L’amico non risponde.
Alle 2:03 parte la chiamata al 113. “Controllavo il battito, il respiro. Ancora c’era”. E’ tardi, quasi nessuno per strada. Si intravedono dei ragazzi. “Li ho chiamati, aiutatemi”. Arriva anche l’ambulanza. Il medico controlla subito Franco. Si ferma e guarda negli occhi Marco. “E mi dice che è deceduto”.
Dolore, rabbia, angoscia. Sensazioni che si rincorrono e si inseguono nella mente di Marco. Non si da pace. “Franco non meritava di morire. Era uno vero, sempre disposto ad aiutarti. Unico”.