I Bronzi di Riace e l’ipotesi siracusana, la nuova prova viene…dal mare: patine e biota
La prestigiosa rivista scientifica internazionale Italian Journal of Geosciences (vol. 145) ha pubblicato un ampio studio di 42 pagine che rilancia con forza la “ipotesi siciliana” sull’origine dei Bronzi di Riace, le due celebri statue greche rinvenute nel 1972 nelle acque calabresi. Un lavoro pluridisciplinare che ha coinvolto 15 studiosi tra geologi, archeologi, storici, biologi marini e specialisti di leghe metalliche, appartenenti a sei università italiane: Catania, Ferrara, Cagliari, Bari, Pavia e Calabria. A supportare l’ipotesi avanzata per primo dall’archeologo americano Ross Holloway e poi rilanciata da Anselmo Madeddu. I bronzi sarebbero stati realizzati per Siracusa, all’epoca dei Dinomenidi.
L’aspetto principale della nuova ricerca è quello relativo alle patine ed al biota marino delle statue. E’ emerso che i reperti sarebbero rimasti per secoli in fondali profondi e scarsamente illuminati, tra i 70 e i 90 metri, molto diversi dai bassi fondali di Riace, dove vennero trovati. Elementi che rendono più plausibile un originario giacimento nella costa ionica siracusana, in particolare nell’area di Brucoli, e un successivo trasferimento clandestino in Calabria da parte di archeotrafficanti.
“È il primo lavoro scientifico che integra in un’unica proposta interpretativa dati geologici e archeologici, offrendo una visione unitaria e coerente della storia dei Bronzi”, spiegano Anselmo Madeddu e Rosolino Cirrincione, geologo dell’Università di Catania. “Nessuno mette in discussione la loro appartenenza al museo di Reggio, ma la loro storia va certamente riscritta”.
Il presidente della Società Geologica Italiana, Rodolfo Carosi, sottolinea come lo studio rappresenti “un esempio virtuoso di collaborazione tra scienze della Terra e archeologia”, capace di aprire nuove prospettive anche nel campo della geologia forense, utile alla tutela e al tracciamento dei beni culturali.














