Bar del Maniace, il Tar “boccia” Italia Nostra e critica i ricorsi: “atti sovradimensionati”

 Bar del Maniace, il Tar “boccia” Italia Nostra e critica i ricorsi: “atti sovradimensionati”

In 26 pagine di sentenza, il Tar di Catania ha rigettato i ricorsi presentati da Italia Nostra, altro tassello nella complessa vicenda legata alla realizzazione di un lounge bar nella ex piazza d’Armi del Maniace, a Siracusa. L’associazione, difesa dagli avvocati Corrado Carrubba, Nicola Giudice, Corrado Giuliano e Alessandra Cocuzza, chiedeva l’annullamento di una serie di atti che hanno portato alla nascita della struttura.
Con i due ricorsi, finiti unificati, ne ha contestato con varie osservazioni la validità, tra lamentati difetti di attribuzioni ed eccesso di potere distribuiti fra i vari enti chiamati in causa: l’Agenzia del Demanio, l’assessorato Regionale ai Beni Culturali ed il Comune di Siracusa. Sotto la lente di Italia Nostra i passaggi più caldi della vicenda, dalla procedura seguita per l’affidamento sino alle contestazioni di natura edilizia (basamento e difformità altezze, ndr) e relativi conseguenti pareri di Soprintendenza e Comune di Siracusa. Per l’associazione, inoltre, l’intera operazione non avrebbe perseguito il fine della valorizzazione e riqualificazione dell’area, finendo per ignorare prescrizioni paesaggistiche e del codice della navigazione.
Una articolata serie di contestazioni che però sono state puntualmente rigettate dalla terza sezione del Tar di Catania che ha anche espresso una sorta di censura nei confronti di Italia Nostra. “La parte ricorrente ha platealmente violato il dovere di chiarezza e di sinteticità, sia in occasione della riformulazione dei ricorsi, sia nella redazione delle proprie memorie – scrivono i giudici amministrativi – redigendo atti obiettivamente sovradimensionati, ripetitivi e, in particolar modo, non lineari sotto il profilo espositivo”. Cosa che ha comportato “un aggravio dell’impegno professionale dei difensori di controparte e, di conseguenza, maggiori oneri per i relativi clienti”. Molti documenti depositati non sono poi stati valutati “pertinenti e conducenti”. Motivo per cui il Tar ha condannato la ricorrente anche al pagamento delle spese di giudizio quantificate in 3.500 euro oltre ad accessori di legge (“se dovuti”) in favore di ciascuna delle controparti.

 

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