Bronzi di Riace e l’origine siracusana, la geologia “forense” dato scientifico verso la verità

Il dibattito sull’origine dei Bronzi di Riace infiamma il mondo dell’archeologia. Se da un lato molti studiosi rimangono ancorati a teorie consolidate che vedono la Magna Grecia o l’ambiente ateniese come contesto d’origine, dall’altro le recenti ricerche condotte dal medico, storico e scrittore Anselmo Madeddu, che ha ripreso e rilanciato gli studi dell’archeologo americano Ross Holloway, riportano in primo piano un’ipotesi affascinante: quella dell’origine siracusana.
A rafforzare questa tesi contribuisce un elemento scientifico nuovo, di geologia “forense”. Più precisamente, le analisi delle terre di fusione interne alle statue – cioè quelle utilizzate nella saldatura dei singoli pezzi bronzei che compongono una statua – rivelano una corrispondenza geochimica sorprendente con i sedimenti dell’area del fiume Ciane, nei pressi di Siracusa.
Come noto, nell’antichità le statue bronzee venivano realizzate attraverso il metodo della cera persa, in cui ogni pezzo anatomico veniva fuso singolarmente per poi essere saldato nel luogo di esposizione. Le terre utilizzate per la fusione venivano raccolte nei pressi della fonderia, mentre quelle per la saldatura erano prelevate sul luogo dell’assemblaggio. Analizzare la composizione di entrambe può offrire quindi preziosi indizi sia sulla provenienza che sulla destinazione originaria delle statue.
Le terre rinvenute all’interno dei Bronzi di Riace, studiate grazie alla disponibilità dei dati forniti durante le operazioni di restauro, sono state confrontate con campioni prelevati nella zona di Pantanelli, nei pressi della piana alluvionale dei fiumi Ciane e Anapo. I risultati, ottenuti da un team interdisciplinare delle Università di Catania e Ferrara, parlano di una “eccezionale corrispondenza”.
Come sottolineato dal professor Rodolfo Carosi, presidente della Società Geologica Italiana, questa vicenda rappresenta uno dei tanti casi in cui la geologia – e in particolare la geologia forense – si rivela strumento chiave anche per l’indagine sui beni culturali. Tecniche avanzate come la spettrometria di massa al plasma (ICP-MS), la diffrazione a raggi X e la microscopia elettronica sono state applicate per tracciare una vera e propria impronta geologica delle terre contenute nei Bronzi, confermando la loro compatibilità con il territorio siracusano.
Rosolino Cirrincione, geologo dell’Università di Catania e membro della Società Geologica Italiana, ha evidenziato inoltre l’importanza delle analisi chimiche anche per smascherare eventuali falsi storici, attraverso l’identificazione dell’evoluzione tecnologica nelle leghe metalliche. Anche da questo punto di vista, le leghe dei Bronzi di Riace risultano coerenti con i metodi produttivi noti in età classica.
L’ipotesi siracusana non è nuova, ma ora gode quindi di una base scientifica più solida, grazie al contributo multidisciplinare degli studiosi.
Anselmo Madeddu stesso ha evidenziato come l’uso di terre locali nella fusione e nella saldatura fosse una pratica comune. E la corrispondenza con il territorio siracusano suggerisce almeno una fase di lavorazione avvenuta proprio in quest’area. A conferma, Carmela Vaccaro dell’Università di Ferrara ha spiegato che le analisi geochimiche e mineralogiche hanno mostrato somiglianze significative tra i campioni delle statue e quelli raccolti nella piana del Ciane.
Certo, il mistero resta aperto, e gli archeologi continuano a dividersi. Ma grazie all’apporto della geologia – scienza solitamente associata a terremoti, vulcani e risorse minerarie – si aprono nuovi orizzonti per la comprensione del passato.
Ma se ancora non c’è unanimità sull’ipotesi siracusana, di certo è emerso un legame altamente indicativo. La verità potrebbe essere ancora nascosta tra le pieghe del tempo. Forse oggi siamo un passo più vicini a scoprirla.