Gioventù violenta, cosa sta succedendo? La psicologa: “L’urgenza è l’educazione ai sentimenti”

Da un lato la violenta aggressione a Mbaye,la tredicenne di Avola da parte di alcune coetanee mentre gli altri ragazzini riprendevano i calci e i pugni con gli smartphone e si affrettavano a postare il video; dall’altro, le vessazioni da parte di un gruppo di minorenni ai danni di un anziano,molestato ripetutamente, per mesi, con terribili angherie. La cronaca di questi giorni ci racconta un territorio siracusano violento, con adolescenti che si rendono responsabili di gesti di inaudita cattiveria. Chiedersi cosa stia accadendo è naturale e obbligatorio. Se l’obiettivo è cercare una spiegazione e soprattutto una soluzione, forse a poco servono i commenti degli adulti che “liquidano” la questione semplicemente esprimendo giudizi e auspicando punizioni altrettanto violente. La psicologa Veronica Castro entra nel merito, partendo proprio dall’episodio di Avola. “Da subito -spiega Castro- è emerso con chiarezza che si trattava di un caso di bullismo, con tutte le caratteristiche che lo determinano ma anche con alcuni aspetti singolari. Di solito,infatti, il bullismo tra ragazze è più sottile e tagliente, basato sul pettegolezzo e sul silenzio, mentre quello tra ragazzi è più irruento, condotto attraverso la violenza fisica. Ad Avola,le ragazze hanno,invece,usato la fisicità, mentre gli altri stavano a guardare e a filmare. Tutta la violenza a cui assistiamo dipende forse dal fatto che l’abbiamo quasi ‘normalizzata’, anche attraverso i videogiochi e le serie tv, oltre che per il fatto che chi usa violenza sembra più forte. In realtà ,i ragazzi non sanno – e dovremmo dirglielo in maniera convincente – che chi usa la violenza e cerca di prevaricare, non sa verbalizzare, non riconosce le emozioni, non le sa esprimere”. La psicologa e Garante dei Diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza del Comune di Melilli invita, tuttavia, a non limitarsi a puntare l’indice contro i giovanissimi. “I bambini e i ragazzi non vedono di certo gli adulti fare squadra, lavorare insieme, adoperarsi gli uni per gli altri. Non sanno, quindi, come si faccia, non sanno come si coopera e condivide. Vedono gli adulti litigare o, ancora più spesso, li vedono isolati, in gruppi ristrettissimi, con un individualismo imperante. Non parliamo solo dei loro genitori, ma di tutti gli adulti di riferimento”. Secondo la psicologa Castro, inoltre, non è affatto vero che ci siamo evoluti rispetto a quella che consideriamo “diversità”. “La verità è che non siamo aperti al ‘diverso’ rispetto a noi. Non riusciamo a confrontarci e rispetto alle altre culture, spesso cadiamo nella trappola dei cosiddetti bias cognitivi, in quella categorizzazione sociale, cioè, che è un meccanismo che da una parte serve a semplificare la percezione del mondo esterno ma dall’altra porta a stereotipi e pregiudizi”. Difficile capire se i ragazzi che si rendono responsabili di gesti di violenza come quelli che la cronaca racconta in questi giorni ne siano pienamente consapevoli. “Di certo è una scelta quella di fare il bullo- puntualizza Castro- come lo è quella di non difendere chi ne è vittima e lo è quella di non difendersi e non chiedere aiuto agli adulti. Senza dubbio-aggiunge la psicologa Castro- serve un’educazione ai sentimenti e alle emozioni, non solo per i ragazzi, ma anche per gli adulti. Se ne parla molto ma non si fa nulla per l’educazione affettiva. Intervenire è urgente-conclude la Garante dei Diritti dell’Infanzia- e dovremmo farlo davvero, anche perché i bulli- ricordiamocelo- sono in realtà soggetti estremamente fragili”.