Ricoverato e poi dimesso, muore nel reparto covid dell'Umberto I: esposto dei familiari

 Ricoverato e poi dimesso, muore nel reparto covid dell'Umberto I: esposto dei familiari

“Abbiamo dato mandato al legale di fiducia di informare la competente Autorità Giudiziaria, anche e soprattutto per evitare che una simile vicenda possa ripetersi con qualche altro malcapitato”. I figli di Domemico Zappalà, 87 anni, deceduto lo scorso 4 aprile all’Umberto I di Siracusa dopo essere risultato positivo al coronavirus, sono decisi ad andare fino in fondo. E ripercorrendo a ritroso la dolorosa storia del loro genitore, parlano di “calvario”.
Tutto ha inizio lo scorso 18 febbraio, quando l’uomo viene ricoverato nel reparto di neurologia del Muscatello di Augusta. “Doveva essere sottoposto a controlli di routine, per via di un piccolo deficit mnemonico, molto frequente in soggetti ultraottantenni”, raccontano oggi i due figli. Nessun problema pregresso. Dopo qualche giorno, “contagiato (verosimilmente, ndr) da uno dei pazienti con cui divideva la stanza, inizia ad avere febbre alta e problemi respiratori, contraendo una broncopolmonite”. La situazione peggiora e “il 7 marzo viene dapprima sottoposto al tampone covid-19, quindi trasferito in ambulanza al reparto Malattie Infettive dell’ospedale di Siracusa, dove qualche giorno dopo arriva l’esito del tampone: negativo al covid, ma positivo al virus H1N1-tipo A e B”.
Passa poco tempo e Domenico Zappalà viene trasferito in Pediatria e poi di nuovo in Malattie Infettive. Sono i giorni dei primi problemi logistici all’interno dell’ospedale siracusano. “Il 13 marzo, senza febbre, ma ancora alle prese con problemi respiratori ed alimentato via flebo, viene nuovamente spostato, stavolta in Geriatria, da dove il successivo 20 marzo viene dimesso, con nostra grande sorpresa, al fine ridurre al minimo il rischio di infezione da covid-19, i cui casi stavano aumentando sempre più”, prosegue il racconto dei due figli.
L’uomo non sarebbe ancora del tutto guarito, ma viene rimandato comunque a casa “con l’ausilio dell’ossigeno e senza assistenza domiciliare a causa della indisponibilità di personale”, lamentano i familiari.
E le condizioni dell’uomo in effetti peggiorano, dopo qualche giorno trascorso a casa. “Così il 30 marzo, dopo l’intervento di personale del 118, viene nuovamente ricoverato, stavolta presso la tenda pre-triage nel frattempo allestita (in isolamento ovviamente) e sottoposto per la seconda volta al tampone che, come comunicatoci la notte tra l’1 ed il 2 aprile, risulta positivo. Per cui nella stessa mattinata del 2 aprile viene trasferito d’urgenza in Terapia Intensiva e 24 ore dopo, essendosi ulteriormente aggravato, nella nuova rianimazione-covid, dove arriva in condizioni disperate e dove muore il 4 aprile, trascorrendo gli ultimi 5 giorni della sua vita in totale isolamento”.
“Non ci è stato ancora fatto il tampone”, è l’ulteriore denuncia dei familiari rimasti in stretto contatto con il oro congiunto sin quasi all’ultimo. “Ci è solo stato consigliato l’isolamento domiciliare per 14 giorni”. E allora, per fare piena luce su tutti i passaggi di questa dolorosa vicenda, la famiglia dell’uomo ha chiesto l’intervento della magistratura.

 

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