Telefonini in carcere con i droni, Cavadonna attende sperimentazione dell’ombrello digitale

 Telefonini in carcere con i droni, Cavadonna attende sperimentazione dell’ombrello digitale

Come fanno ad entrare in un carcere, come quello di Siracusa, i telefonini? La domanda se la sono posta in tanti, dopo la notizia (ieri) dell’operazione di Polizia Penitenziaria che ha portato a rinvenire e sequestrare 27 cellulari nella disponibilità dei detenuti. Con quelli, mantenevano i contatti con l’esterno e, verosimilmente, continuavano a gestire affari.
La risposta alla domanda la fornisce Aldo Di Giacomo, segretario generale del sindacato Spp (Polizia Penitenziaria). “Le carceri italiane da tempo sono diventate veri e propri aeroporti, dove per i droni è possibile atterrare e consegnare facilmente ai detenuti telefonini e droga”. Attraverso il ricorso ai droni, in alcuni casi modificati, sarebbe quindi divenuto usuale “consegnare” ai detenuti cellulari sempre più piccoli e facili da occultare. A marzo del 2021, la Polizia di Siracusa riuscì a bloccare una consegna di questo tipo, attraverso un drone. Due catanesi di 20 e 26 anni vennero denunciati. Sulla pancia del drone erano stati fissati 4 cellulari e relative schede prepagate.
Esiste una soluzione e Cavadonna, l’istituto penitenziario di Siracusa, è tra quelli selezionati in Italia per la sperimentazione di un sistema, brevettato da un’impresa israeliana. Nei mesi scorsi, gli ingegneri della società hanno visitato la struttura siracusana per verificare la possibilità di utilizzare il loro sistema. Si tratta di una specie di “ombrello” invisibile che, con una serie di impulsi, porterebbe ogni drone che viola lo spazio areo a precipitare al suolo. Per il via libera alla sperimentazione bisogna però attendere il via libera del Ministero, che deve definire costi e procedure della sperimentazione.
Dal sindacato Spp ricordano però che ci sono tante altre soluzioni disponibili per “vedere in tempo reale la posizione, altitudine, velocità, direzione del drone in avvicinamento”, ed altre anche economiche, come la recinzione attraverso reti. “Perché non si mettono in atto le misure più idonee a bloccare l’arrivo di droni? Ci sembra davvero difficile solo pensare che l’Amministrazione Penitenziaria non conosca il segreto di Pulcinella, vale a dire come manomettere il drone per aggirare il divieto di volo”, dice Di Giacomo.
“Nelle carceri circolano troppi telefonini, strumenti essenziali per capoclan e uomini di spicco della criminalità organizzata per continuare a comandare, ad impartire ordini ai territori e non certo per parlare con mogli e amanti. Il nostro – aggiunge Di Giacomo – non è un allarme isolato: da tempo alcuni magistrati antimafia mettono in guardia sul diffuso impiego di telefonini dal carcere che tra l’altro vanifica proprio il loro grande lavoro e quello degli inquirenti con il rischio sempre più diffuso che chi ha subito violenze, ricatti, richieste estorsive, per paura, rinunci a collaborare”.

 

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