Verso fase due, la minaccia dei ristoratori: "così non riapriamo, per noi è una catastrofe"

 Verso fase due, la minaccia dei ristoratori: "così non riapriamo, per noi è una catastrofe"

Fase due, come ripartire? Se lo chiedono quasi 100 ristoratori della provincia di Siracusa che hanno firmato un documento inviato all’attenzione del governo nazionale. Uno dei promotori è lo chef Giampaolo Molisena che ha trovato la piena condivisione dell’iniziativa da parte di molti suoi colleghi di Avola, Noto, Siracusa, Portopalo e Palazzolo.
Ai ristoratori non piace la possibilità di riaprire con paretine in plexiglas, mascherine e tavoli a due metri. “Ipotesi improbabili, che hanno il solo scopo di confondere ancora di più le nostre giornate che stanno andando avanti senza un vostro aiuto”, spiega subito Molisena.
“Come si può chiedere di distanziare i tavoli a 2 metri?”, si domanda alzando la voce. “I nostri tavoli per noi sono la fonte del reddito. Se ci obblighi a riaprire e portare un’attività da 30 a 10 tavoli, capisci che il modello di business su cui si basa l’impresa non c’è più. Aprire a queste condizioni equivale, per noi ristoratori, ad una catastrofe. E lo stesso vale per i nostri dipendenti, per i fornitori, per i tecnici delle manutenzioni: un esercito di persone che se porti i tavoli da 30 a 10 non ha più senso di esistere”.
Se le indiscrezioni sin qui trapelate rispondessero al vero, i ristoratori siracusani minacciano la serrata. “Noi rimaniamo chiusi. Non siamo una fabbrica. Il nostro lavoro è basato sul piacere, sulla socialità. A queste condizioni non possiamo aprire. Queste non sono le condizioni per fare ristorazione. Non abbiamo ancora ricevuto i 600 euro di marzo, i dipendenti non hanno ancora ricevuto la cassa integrazione di marzo e siamo a fine aprile. E noi dovremmo riaprire, con il nostro modello di business dimezzato e con un economia che è al collasso e la stessa tassazione di prima? No grazie”.
Molisena è un fiume in piena. “Qui c’è gente che vuole lavorare. Ma per lavorare ci devono essere le condizioni. Ripartiamo dalle cose semplici. Non vogliamo prestiti, ma una tassazione equa che lasci margini per lavorare ed investire. Vogliamo fare il nostro lavoro. Vogliamo farlo nelle condizioni dignitose per farle: economiche e sociali. Oppure non apriamo. Non paghiamo nessuna tassa”.

foto da palermotoday.it

 

Potrebbe interessarti