Un casco sulla bara per l’ultimo viaggio di Salvo. “La morte non è la fine definitiva”
Il giubbotto da moto ed il casco sulla bara, al centro della navata. Sono gli stessi indossati in quella foto posta accanto, in cui – felice – è in sella alla sua passione a due ruote. Così l’ultimo saluto a Salvo Campisi, il 50enne travolto e ucciso domenica pomeriggio lungo l’autostrada Catania-Messina. Una tragedia assurda, dolorosa e impossibile da accettare.
Per l’ultimo saluto, nella chiesa di Santa Rita, ci sono gli amici di una vita, compagni di gite in moto e mille avventure, sodali nei viaggi e nelle esperienze di lavoro. Si sono stretti attorno ai familiari, piegati da una notizia terribile: Campisi lascia due giovani figli. Tra i banchi ci sono anche quanti, pur se per un breve momento, hanno in qualche modo incrociato la “strada” con quel 50enne nato a Milano ma totalmente siracusano, così solare e portatore di sana energia positiva. E già quel contatto era sufficiente per volergli bene.
Padre Sudano, nella sua omelia, ha offerto una riflessione incentrata sulla fede come unica chiave per interpretare e superare i momenti di dolore. “Sono assurdi e incomprensibili”, ma possono essere compresi e accettati solo attraverso la luce della fede. “La morte non è la fine definitiva. Non c’è il vuoto, ma la promessa di Cristo che accoglie Salvo nel Suo regno, chiamandolo nella schiera dei beati. Questo è ciò che permette di vivere nella speranza e superare il dolore”, le parole alla ricerca di un conforto oggi difficile.
Ad investire Salvo Campisi, sceso dall’auto in corsia di emergenza per verificare un problema ad uno degli penumatici, è stato un 86enne. “L’amore è perfetto quando si esprime nel perdono e ricorda che Gesù stesso ha perdonato i suoi crocifissori”, dice ancora mons. Sudano.














