I poliziotti arrestati, nelle indagini il contestato legame con il boss dello spaccio

 I poliziotti arrestati, nelle indagini il contestato legame con il boss dello spaccio

Un rapporto stretto, consolidato, fatto di rivelazioni, “consigli”, consegne di quantità di droga sottratta a quella sequestrata, soldi in cambio. Questo il quadro che emergerebbe dalla lettura dell’ordinanza del Gip del Tribunale di Catania, relativa alle misure cautelari adottate a carico  di tre poliziotti siracusani ed un cinquantenne netino
Le indagini della Direzione Distrettuale Antimafia hanno preso le mosse dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Cesco Capodieci, ma la Procura della Repubblica di Siracusa stava già conducendo approfondimenti sugli indagati. Capodieci, considerato il “re del Bronx”, collabora con la giustizia da gennaio 2021, poco dopo il suo arresto.
Dall’attività investigativa della Procura era emerso, nel biennio 2019-2020, il presunto stretto rapporto di vicinanza che legava due dei poliziotti indagati ai familiari di Capodieci che, in un primo momento si sarebbe rivolto ai due per tramite dello zio, allo scopo di essere informato sull’esito della promessa che gli avrebbero fatto, riguardo ad un possibile intervento dei magistrati per attenuare, nel giudizio d’appello, la pesante condanna ricevuta in primo grado nell’ambito del processo “Bronx”. Il tutto si basava sul presupposto che i due poliziotti avrebbero “passato” adeguate informazioni, anche in considerazione del contributo reso da Capodieci come fonte confidenziale alle indagini della Squadra Mobile.
Aspettative che non si sarebbero poi realizzate, tanto che Capodieci avrebbe iniziato a maturare l’intenzione di collaborare con la giustizia, venendo scoraggiato dagli stessi poliziotti, preoccupati – secondo gli investigatori – delle possibili conseguenze per loro stessi.
In quel periodo, allora, i due indagati avrebbero tentato di dissuadere, tramite la compagna, un altro capo del sodalizio criminale del “Bronx” che voleva iniziare a collaborare con la giustizia. Per evitare di perdere il controllo della situazione, i poliziotti arrestati avrebbero rivelato al gruppo criminale di intercettazioni in corso, telefoniche ed ambientali. E per essere ancora più convincenti, avrebbero persino “avvisato” uno dei loro interlocutori, detenuto nel carcere di Cavadonna, spiegando che se avesse collaborato lo avrebbero “buttato” e “dimenticato”, come già fatto con altri collaboratori.
Uno dei poliziotti, in particolare, si sarebbe proposto di gestire in prima persona la collaborazione di Capodieci sostenendo che avrebbe raccolto le sue dichiarazioni, presenziando agli interrogatori e attuando una strategia già possa in essere nel 2013 con un altro collaboratore di giustizia. Nel frattempo,  gli indagati pensavo di potersi così garantire il tempo necessario per predisporre una loro strategia “difensiva”, nel caso in cui qualcosa fosse andato “storto”. Ad esempio, iniziando a spiegare che Capodieci, ex confidente, era animato da intenti vendicativi per non avere ricevuto da loro l’aiuto su cui contava. Avrebbero, dunque, fornito spiegazioni “convincenti” per giustificare i contatti con l’uomo, in quanto loro informatore, avvicinando i colleghi della Squadra Mobile per carpirne notizie relative alle indagini in corso e sconfessare le voci che iniziavano a girare sul loro conto.
Intanto, un maresciallo dei carabinieri della Compagnia di Siracusa (non indagato), avendo buoni rapporti con la compagna di Capodieci, sarebbe riuscito ad indurlo alla scelta della collaborazione che, a causa di riferite intromissioni degli indagati e dei familiari, si sarebbe perfezionata solo nel gennaio 2021, poco prima dell’udienza finale del giudizio d’appello del processo “Bronx”.

foto archivio

 

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