Operazione Gap. Maxi-frode fiscale al polo industriale: sequestri milionari ed arresti

 Operazione Gap. Maxi-frode fiscale al polo industriale: sequestri milionari ed arresti

La Guardia di Finanza di Augusta, a conclusione di una indagine coordinata dalla Procura della Repubblica di Siracusa, ha eseguito 5 ordinanze di custodia cautelare, 2 misure restrittive e divieti interdittivi per altre 5 persone. Sequestrate somme per oltre 43 milioni di euro.
L’operazione, battezzata “Gap”, ha svelato un articolato sistema di frode a danno dello Stato. Lunga la lista delle contestazioni. La frode sarebbe stata commessa da una consorzio di società che lavorano nel polo industriale, attraverso l’acquisizione di appalti con forti ribassi, possibili grazie al mancato versamento di contributi, omesse dichiarazioni e false fatturazioni.
Custodia cautelare in carcere per Isabella Armenia e Stefano Bele mentre sono stati posti ai domiciliari Marilina Campisi, Paola Garofalo e Michele Fisicaro. Obbligo di dimora per Daniele Parrino e divieto di espatrio per Massimo Camizzi, considerato il factotum. Provvedimenti interdittivi a vario titolo per altri 5 soggetti e tra questi spicca il nome del commercialista Luigino Longo, destinatario di un divieto temporaneo dell’esercizio della professione: secondo gli investigatori, avrebbe favorito e suggerito soluzioni creative su bilanci ed altro. E ancora divieto temporaneo di assumere cariche in persone giuridiche per Angelo Tringali, Giovanni Platania, Roberto Giardina e Gesualdo Buono. Sequestri anche nei confronti di società, parte destinatarie del provento illecito.
Il provvedimento chiude ampie indagini di natura economico-finanziaria scattate nel 2017 dopo una verifica fiscale nei confronti di una delle società operanti nell’indotto della zona industriale. Sarebbero emerse criticità che hanno portato ad ulteriori controlli presso le imprese che erano subentrate nelle commesse dopo che la prima società, improvvisamente, aveva cessato di operare. Si è scoperto cosi che tutte le entità, parte delle quali aderenti a un Consorzio (CIPIS S.r.l) facevano capo a una nota coppia di imprenditori megaresi (Isabella Armenia, Stefano Bele) e costituivano un vero e proprio sistema di “scatole vuote”. E questo grazie anche alla compiacenza di persone con precisi ruoli e di uno staff amministrativo formato anche da “prestanomi, faccendieri e personaggi poco abbienti e mal prezzolati”, secondo la definizione fornita dalle Fiamme Gialle. I prestanome, infatti, venivano “pescati” molto spesso anche tra persone indigenti che si avvalevano della mensa Caritas di Augusta.
Il sistema illegale creato era molto sofisticato. Il Consorzio (CIPIS S.r.l.), nel tempo manutenuto “pulito” da un punto di vista contabile e gestito sempre dagli stessi coniugi (Isabella Armenia, Stefano Bele) si aggiudicava appalti nella zona industriale grazie a ribassi fuori mercato se non – come sarebbe stato accertato – omettendo di pagare le tasse ed i contributi.
Il lavoro cosi appaltato veniva poi fatto svolgere dalle consorziate di turno che nel tempo, però, si susseguivano. Cosi, quando una società aveva ormai raggiunto debiti tributari di considerevole importo, veniva sostituita con un’altra impresa di nuova costituzione, che si avvaleva sempre della stessa maestranza e degli stessi mezzi.
Intercettazioni, perquisizioni domiciliari, locali e informatiche anche nei confronti del titolare di uno
studio di consulenza (Luigino Longo) hanno fornito alla Guardia di Finanza tutti gli elementi di prova necessari.
La mole degli elementi raccolti e acquisiti agli atti ha reso evidente che le società erano tutte riconducibili all’unica famiglia di imprenditori, i quali gestivano direttamente personale, appalti e rapporti con le banche dell’intera rete societaria, della quale conoscevano dettagliatamente la situazione finanziaria, revisionando bilanci e impartendo disposizioni sugli aggiustamenti contabili da effettuare.
Erano ancora i due coniugi che, grazie all’ausilio di un faccendiere di fiducia, arruolavano persone poco
abbienti alle quali, dietro miseri compensi che variavano da 50 a 200 euro, intestavano quote societarie e/o cariche di società, alcune delle quali risultano aver movimentato volumi d’affari milionari.  
Tramite canali “social” venivano dettate disposizioni in modo criptico. Il drenaggio avveniva attraverso una società cosiddetta cartiera, costituita a Malta, la Sofintex Ltd, usata per emettere dall’estero fatture per operazioni inesistenti esclusivamente nei confronti di una delle società fallite che, pagando i falsi documenti, svuotava le proprie casse, per circa 3 milioni di euro, a esclusivo vantaggio della coppia.

 

Potrebbe interessarti