Siracusa. Caso clochard in Ortigia, l'assessore Moscuzza: "il Tso non è la soluzione, più accoglienza"

 Siracusa. Caso clochard in Ortigia, l'assessore Moscuzza: "il Tso non è la soluzione, più accoglienza"

“Siracusa deve trovare risposte riabilitative e di supporto psico-sociale per le persone disagiate”. E’ la pronta risposta dell’assessore alle politiche sanitarie, Antonio Moscuzza, sul caso sollevato proprio da SiracusaOggi.it.
“Da qualche tempo in città vengono intercettati barboni che vivono in strada e, per il pubblico decoro, i vigili urbani o altra forza di polizia provvedono ad accompagnare in ospedale tramite 118 con richiesta, vista la riluttanza del soggetto a spostarsi e a volte il suo rifiuto deciso, di Accertamento Sanitario Obbligatorio”, spiega Moscuzza. “Frequentemente, così come accaduto nelle ultime settimane, viene predisposto il Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO), procedura che culmina, quest’ultima, con la firma del sindaco e che prevede il ricovero obbligatorio per un periodo di tempo difficilmente quantizzabile.
Da un punto di vista sanitario il TSO è una modalità riservata a soggetti in gravi difficoltà, incapaci di intendere e volere e dunque riottosi alle cure. Ogni altra fattispecie implica la privazione della libertà personale, sancita dalla Costituzione, e l’adozione di una misura spropositata rispetto alla condizione di marginalità nella quale i clochard vivono con grande spirito di adattamento, non volendosi conformare per mentalità nomade agli usi e costumi abituali”, argomenta il responsabile delle politiche sanitarie. Lasciando intendere come un prolungato e forzoso ricorso al Tso possa alla fine tradursi in “un atto di violenza in una società che si proclama democratica e può ridurre la già limitata capienza dei servizi ospedalieri psichiatrici, dove vengono ricoverati i pazienti psichiatrici in fase di acuzie: cittadini siracusani che a quel punto, in assenza di posti, inappropriatamente occupati da non aventi la necessità, possono essere dirottati ovunque in Sicilia o persino oltre lo stretto. Appare inutile – dice poi Moscuzza – evidenziare il notevole spreco economico che si realizza in queste condizioni, sia nella prima che nella seconda fase della procedura appena riportata”.
Un processo comunque inefficace per l’assessore. “Perché il ricovero forzato per ordine pubblico che si tramuta in Tso spesso inappropriato, culmina con la dimissione del paziente dopo un certo periodo di tempo. E il soggetto si riappropria del suo territorio e ricomincia l’iter come un disco rotto. Nulla cambia, in altre parole, a parte la congestione dei servizi ospedalieri psichiatrici”.
Cosa fare, allora? Antonio Moscuzza pensa a ricoveri presso centri di accoglienza, “offrendo un tetto e un pasto stabile e persino delle cure internistiche o psichiatriche oltre ad un’assistenza sociale”. L’assessore non nasconde le difficoltà nella realizzazione di un simile progetto. “Ci si dovrà attrezzare con una task force coordinata, ma principalmente sarà utile attivare una procedura da stabilire con la Prefettura con la quale un individuo, ancorché barbone, possa fruire di un luogo di ristoro diverso dalla strada e, ammesso che voglia permanerci, di più opportunità prima di prendere decisioni inerenti eventuali misure di polizia, pur considerando che la figura del vagabondo nel nostro codice penale è scomparsa, così come quella dell’ozioso, e che le misure di prevenzione ante delictum possono essere applicate a quei soggetti che è dimostrato essere dediti a commettere reati”. Bivaccare, in fondo, non è reato per la Cassazione, anche se il sindaco dovesse emettere un’ordinanza anti-bivacco.

 

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