Siracusa. Tre anni fà la morte di Stefano Biondo. Rossana La Monica: "Attendo giustizia e lotto per i diritti dei più deboli"

 Siracusa. Tre anni fà la morte di Stefano Biondo. Rossana La Monica: "Attendo giustizia e lotto per i diritti dei più deboli"

Sono passati tre anni. Il 25 gennaio 2011 moriva Stefano Biondo, un ragazzo disabile di 21 anni. Una storia piena di interrogativi, un presunto caso di malasanità,per cui la famiglia chiede giustizia. La sorella, Rossana La Monica, tutrice di Stefano, lotta senza sosta da quando la tragedia ha colpito  la sua famiglia. Stefano era autistico. “E’ sempre stato un bambino speciale- racconta la sorella- Ha avuto momenti di chiusura autistica ed altri in cui comunicava le sue emozioni. Ha parlato e camminato tardi. Il ritardo mentale c’era, si capiva, pur essendo di una bellezza sconvolgente , con un notevole senso dell’umorismo. I problemi veri sono iniziati dopo la separazione dei  genitori. Iniziano le crisi, non più affrontabili in casa, anche per via di serie ragioni di salute della mamma.  Nessuna struttura si è dimostrata idonea. Nessuno ha mai applicato un programma terapeutico adeguato, nessuna terapia mirata. Niente che potesse garantire un inserimento ottimale e duraturo”. Inizia un periodo destabilizzante per Stefano. Strutture che lo ospitano per brevi periodi, come fossero –  spiega Rossana La Monica-  dei parcheggi. La sorella, oggi presidente dell’associazione “Astrea” (che vuol dire “giustizia), è convinta che se suo fratello fosse stato trattato con la dovuta dolcezza, quella di cui aveva terribilmente bisogno, le cose sarebbero andate diversamente per lui. “Negli ultimi tempi- ricorda- non aveva quasi più crisi e comunque si limitavano ad un pianto. Aveva bisogno di essere capito”. Nel 2008 Stefano entra in Tso, il trattamento sanitario obbligatorio,nel reparto di Psichiatria dell’ospedale Umberto I di Siracusa. E’ rimasto lì fino al giorno prima della sua morte. I familiari lo accudivano insieme ad un accompagnatore. Con loro Stefano poteva uscire dall’ospedale per andare a fare delle passeggiate, al mare, alla stazione ferroviaria, che gli piaceva tanto, o semplicemente a fare la spesa. “Ci occupavamo della sua igiene- prosegue Rossana La Monica- Cercavamo di offrigli un barlume di normalità. Non volevamo che rimanesse in quel reparto. Lui aveva bisogno di altro”. Arriva così il giorno in cui un provvedimento del giudice del tribunale di Siracusa intima alle istituzioni competenti l’individuazione di una struttura adeguata alle esigenze di Stefano. Il giovane viene trasferito nella comunità alloggio di via delle Madonie. “Era contento di questa nuova sistemazione- racconta Rossana La Monica- Era lì da solo un giorno quando , nel pomeriggio del 25 gennaio, era martedi, mi hanno telefonato per informarmi di un’improvvisa crisi di Stefano. Quando , con mio marito, siamo arrivati da lui, mio fratello era disteso a terra, legato con un filo elettrico. Stava male. L’ho capito subito ed ho anche capito che la situazione era gravissima. L’infermiere professionale del reparto di psichiatria dell’ospedale Umberto I che era presente mi rassicurava, diceva che aveva somministrato a Stefano una dose di tranquillante, ma io avevo già capito. Stefano è morto e a nulla sono serviti il massaggio cardiaco e la respirazione bocca a bocca che  ho operato”. La sorella di Stefano parla, poi, di un’ambulanza, quella arrivata per soccorrerlo, non attrezzata per le emergenze del caso. “Non aveva il defibrillatore perchè non era stato comunicato il codice “rosso”- spiega ancora Rossana – Solo dopo un’altra mezz’ora è arrivato il mezzo giusto, con il medico a bordo. Per Stefano, però, era ormai troppo tardi”. Il processo in corso stabilirà se e chi ha sbagliato. “Stefano ha avuto, oltre alla sfortuna della sua malattia, quella di vivere in questa città- è lo sfogo della sorella – Una città in cui questo caso e tanti altri non sono mai stati sufficientemente all’attenzione delle autorità sanitarie locali e regionali, nè del Comune. Per anni ho elemosinato un diritto per mio fratello: quello di essere curato adeguatamente. Adesso un posto l’anno trovato e lì , in una bara, non darà di certo più fastidio”. Un’amarezza straziante nelle sue parole. Infine un appello a tutte le famiglie che assistono un disabile. L’invito della presidente di “Astrea” è quello di non mollare, di “pretendere che i propri familiari ammalati siano assistiti come è giusto che sia, come è loro diritto”.

 

 

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