Teatro Greco, i restauratori del 2015: "Degrado antropico? Di difficile valutazione"

 Teatro Greco, i restauratori del 2015: "Degrado antropico? Di difficile valutazione"

Non si attenuano le polemiche sullo stato di salute del teatro greco di Siracusa. Sulla necessità di manutenzione tutti d’accordo, è un simbolo e va curato oltre che valorizzato. Il parco archeologico ha avviato una serie di controlli ed esami, anche strumentali, che richiederanno diverso tempo prima di fornire i primi risultati. Sulle cause che influiscono o accelerano il degrado vi è, però, una certa disparità di opinioni: dalla pioggia ai decibel della musica, passando per calpestio e carico antropico.
Un ultimo restauro venne condotto nel 2015, un intervento pilota limitato ad una porzione della cavea. Da maggio a luglio di quell’anno furono i restauratori di Estia ad intervenire sulla pietra, su richiesta della Soprintendenza di Siracusa. Estia è una società umbra fondata nel 1990 da un gruppo di professionisti con consolidata esperienza nel restauro dei Beni Culturali.
“Gli interventi eseguiti nella porzione, oggetto del restauro, del Teatro Greco di Siracusa hanno permesso di verificare la consistenza dei materiali originari in opera e consentito di trarre alcune considerazioni relative alle azioni da intraprendere per una migliore conservazione del monumento”, scrivono al termine dei lavori nella loro relazione conclusiva.
“Si è constatato come l’attuale dinamica di degrado del materiale lapideo sia innescata da diversi fattori che, singolarmente o sommandosi tra di loro, contribuiscono al deterioramento del manufatto”. Tre i principali: “l’esposizione agli agenti atmosferici, le caratteristiche geomorfologiche del manufatto e l’utilizzo antropico”.
Pioggia, vento e gli altri elementi atmosferici – secondo quanto sostenuto dagli speciali di Estia – causano “un tipo di degrado per ‘sottrazione’, con l’asportazione del materiale dovuto al ruscellamento delle acque che minano profondamente la roccia carbonatica componente il teatro: cavità alveolari, impronte circolari e vaschette di corrosione sono spie indicatrici sicure di un avanzato fenomeno di carsismo che sta interessando la struttura”. Ed è quella situazione che ha portato il professore Lazzarini a parlare di “teatro cariato”. E ancora, “tutti i fenomeni legati al ruscellamento delle acque sono, chiaramente, accentuati nelle aree di deflusso preferenziale delle acque, come le canalizzazioni, le scalinate di separazione tra i settori e lungo le linee di frattura”.
Già delicato in quanto scavato nella pietra naturale e segnato da accentuata vetustà, “la condizione attuale” rende il teatro greco “particolarmente fragile ed esposto al degrado”, legato anzitutto alla quotidiana azione degli agenti atmosferici. “La presenza di terra, nel coronamento superiore della cavea, a sostituire antichi blocchi in pietra ormai perduti a seguito di spoliazioni, espone costantemente le gradinate lapidee ad essere ricoperte di polvere e terra durante le giornate asciutte e ventose e di fango a seguito di piogge torrenziali. Questa attuale condizione – relazionano gli esperti – oltre che mantenere sempre sporche le superfici lapidee, espone il manufatto alla formazione di massicci attacchi biologici”.
Quanto pesa la presenza di visitatori quotidiani e di pubblico durante la stagione degli spettacoli estivi? “Nella dinamica del degrado l’incidenza dell’utilizzo antropico è di difficile valutazione”, la risposta in premessa contenuta nella relazione post restauro di Estia. “Il dato più evidente sono i resti di chewingum lasciati, i prodotti di corrosione di chiodi e le tracce di vernice”, anche se nella struttura protettiva allestita ogni anno per difendere il teatro greco “non vengono utilizzati chiodi ma elementi ad incastro”, ha precisato nei giorni scorsi l’assessore Fabio Granata. In ogni caso, i restauratori precisano che si tratta in ogni caso di dati “obiettivamente di limitata gravità”. Rimane l’aspetto del calpestio sulle gradinate. “Quale può essere l’effettiva usura ed abrasione delle superfici a causa del calpestio è pressoché impossibile stimarlo”, si legge ancora nella relazione Estia. “L’abrasione delle superfici lapidee dipende molto dalla presenza di polveri abrasive e dal tipo di calzature utilizzate”, è ad esempio un elemento apparentemente curioso di cui comunque tenere conto. “Consapevoli di quanto siano delicate e difficili le scelte che conciliano le esigenze di conservazione e fruizione di questo monumento di età classica – scrivono i restauratori – riteniamo opportuno che un tale problema venga affrontato in un dibattito che superi le logiche di parte e le scelte aprioristiche per raggiungere soluzioni condivise che portino al raggiungimento di un uso consapevole del monumento”.
Per raggiungere una piena compatibilità tra uso e rispetto del monumento, vengono riportate alcune indicazioni per la conservazione del monumento “non esaustive” ma utili per “indicare una strada da seguire con il coinvolgimento di vari specialisti”. Un primo suggerimento è la pulizia della superficie lapidea, “come il terriccio sia l’elemento imprescindibile degli attuali massicci attacchi biologici. La caratteristica di questo materiale lapideo, con innumerevoli fori e cavità necessita di un’accurata rimozione del terriccio. La presenza di formazione di colonie di licheni riveste un ruolo marginale rispetto alle altre forme di degrado. Vero è che il lichene con la sottostante alga mantiene umida la pietra e di conseguenza la indebolisce. La crosta superficiale tuttavia svolge un’azione protettiva, specialmente, se il pericolo di degrado viene dall’abrasione causata dal calpestio. Inoltre la rimozione dei licheni risulta estremamente lunga e difficoltosa, con dei benefici il cui risultato è tutto da dimostrare”.
I restauratori di Estia suggerivano anche pulitura e stuccatura “per chiudere tutte le cavità di una certa dimensione e per impedire o comunque limitare il ristagno di acqua sulla pietra”. Ma c’è da considerare il rischio di causare cambiamenti nel colore della pietra originaria oltre a valutare nel tempo la resistenza all’abrasione e agli attacchi biologici. Quanto al ricorso alla struttura protettiva in legno, favorirebbe “Il permanere di umidità per difficoltà di evaporazione nelle porzioni sottostanti il tavolato”. Può sorprendere, quindi, il consiglio di ridurre le doghe protettive che coprono alla vista il teatro greco di Siracusa, “francamente un’eccessiva alterazione rispetto alla conformazione delle gradinate, che sono per gran parte calpestabili in sicurezza. L’utilizzo di tale rivestimento potrebbe essere ridotto, rispetto a quello attuale, e limitato esclusivamente alle aree particolarmente compromesse, in modo da garantire
condizioni di sicurezza adeguate per il pubblico, evitando la sua messa in opera su tutta la superficie della cavea”.
Storia a sè la fa la parte superiore del teatro, dove terra e prato si alternano agli elementi lapidei. “La migliore conservazione deriverebbe dalla possibilità di drenare e regimentare le acque, inoltre l’utilizzo di un terreno controllato e stabilizzato, ridurrebbe gli spostamenti. Allo stesso scopo essenze erbacee selezionate potrebbero svolgere un contenimento del terreno ed un filtro per le acque meteoriche”.

 

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